A questa storia che da queste parti la coltivazione dello zafferano avesse origini antiche, io non avevo mai creduto. È vero, sapevo già da tempo della storia di mio nonno che aveva portato con sé dall’Abruzzo dei cormi di zafferano e che si era messo a coltivarlo; tuttavia, e mi sembrava più una delle sue tante manifestazioni di estrosità poi reiterata dalla gente di qui. Tuttavia la versione dei pochi ‘antichi’ autoctoni rimasti nel paesello era molto differente: qui, lo zafferano si è sempre coltivato, a memoria di autoctono e di autoctono e di autoctono, anche molto prima del 1920, di nonno e della sua cassa.
E in effetti…
E allora, via alla ricerca; che non ha fatto altro che confermare che, al solito, gli autoctoni hanno sempre ragione. Senza troppo affannarmi, il documento che ho inserito nel post, si trova su Google Libri è tratto dall’Annuario d’Italia per l’esportazione e l’importazione del 1905, una specie di stato dell’arte della produzione italica.
Tra le poche zone di produzione dello zafferano, oltre alla rinomata provincia dell’Aquila, che tuttora è il fulcro della produzione italiana, se ne citano altre quattro: “Lo zafferano si coltiva anche, ma in piccola quantità, nelle prov. di Cagliari, Palermo, Ascoli Piceno e Catanzaro.”
Considerando che la produzione di zafferano non si inventa dall’oggi al domani, dovevano essere già parecchi anni, se non decenni, che lo zafferano cresceva da queste parti. Mentre nelle altre tre zone meridionali d’Italia lo zafferano doveva aver seguito gli arabi alla fine del primo millennio, ad Ascoli Piceno doveva essere arrivato dal nord dell’Abruzzo, facendo quella stessa strada che 100 anni fa aveva fatto, ben riposto, nella cassa di mio nonno.
Ennesima dimostrazione che delle primogeniture possiamo parlare per ore, tanto, prima o poi, arriviamo tutti ad Adamo ed Eva. 😜