Lo zafferano e la leggenda di Europa.

Lo zafferano e la leggenda di Europa.

Questa storia dello zafferano negli affreschi dell’isola di Thera (Santorini) di cui vi ho parlato in questo post, non è un un caso. Non è un caso, in genere, lo zafferano come simbolo di una certa questione; che ha pure a che fare con il termine ‘Europa’ e su quello che siamo ora, noi, oggi, e quello che siamo stati migliaia di anni fa. La faccenda è un po’ lunga da spiegare, ma vale la pena avere un po’ di pazienza.

Di nuovo ad Akrotiri

Come avrete letto, con gli affreschi che si sono trovati nell’edificio Xeste3, ad Akrotiri, sull’isola di Santorini è stato possibile ricostruire come nella civiltà minoica il passaggio da una condizione adolescenziale della donna ad una più matura, di madre, di nuova vita, sia punteggiata di riti iniziatori che vedono lo zafferano come simbolo di tutte le fasi del cerimoniale, dal krokopeplos (che è una veste gialla colorata con lo zafferano – veniva usato anche come colorante pregiato, guardate qui sotto), alle offerte agli dei.

Virginia Beane Rutter, che è una psicoterapeuta e analista junghiana, ha scritto molto sull’argomento: trovate tutto qui, ma è in inglese. In questo suo lavoro, la ricercatrice statunitense analizza sotto un profilo analitico tutti questi riti e soprattutto fa capire come tali riti non siano solo patrimonio minoico o comunque proprio della civiltà egea di 3/4.000 anni fa. Ad Atene, ad esempio, 1.000 anni dopo si svolgeva   l’Arkteia che era un cerimonia in cui le fanciulle da marito percorrevano chilometri di strada a piedi in vesti colorate di zafferano. E non ci dimentichiamo che il simbolo ‘zafferano’ si presta molto bene ad essere associato alla fisiologica maturazione fisica del corpo della donna con lo sviluppo del ciclo mestruale. E mi fermo qui, perché ripeterei cose che trovate già nel lavoro dell’analista.

A me, ora interessa un’altra questione: ed è questa.

Europa e Zeus

C’è una leggenda, che forse non tutti conoscono e che ci riguarda tutti, noi occidentali ed è quella che ci racconta come qui, in Occidente, noi ci siamo arrivati provenendo da altri luoghi, non ci siamo spuntati come funghi dopo una pioggia autunnale. Ed è la leggenda di Europa.

Europa, nel mito, è la figlia di Agenore, re di Tiro, in Fenicia, un posto che adesso è un pezzo di Siria, di Libano, d’Israele e di Palestina tutte insieme. Europa doveva essere proprio una bella ragazza perché Zeus se ne invaghì, e come fanno i potenti, volle farla sua. Ma invece di rapirla in maniera brutale, si trasformò in un bellissimo toro bianco, che mansueto e odorante proprio di zafferano – guarda un po’, la sedusse  mentre Europa si trovava in compagnia di altre leggiadre donzelle proprio in un campo coperto di ( … 3, 2, 1 e sì, su…) zafferano  e la portò a Creta dove Europa divenne donna e madre, tra l’altro di Minosse.

via da creta.

I fratelli di Europa si misero alla ricerca della sorella e cominciarono ad espandersi verso Occidente dove arrivarono in Grecia e poi in tutto il resto del continente che per questa faccenda si cominciò a chiamare proprio Europa.

Europa portò con se l’Oriente e lo zafferano, che sono rimasti con lei a dare vita a tutti noi.

Certo, è una bellissima leggenda e spiega ciò che è avvenuto qualche migliaio di anni fa tra Medio Oriente ed Europa. È lo stesso viaggio fatto da Cartaginesi, forse Etruschi, sicuramente è la strada che ha fatto Enea secondo Virgilio, e ricalca perfino qualche tappa di Ulisse.

Si spiega forse proprio così perché oltre alle incredibili proprietà curative, lo zafferano abbia rivestito per millenni questa incredibile ricchezza di significati: spezia che rappresenta un ponte fisico e spirituale tra Oriente e Occidente; e ponte che troppo spesso non amiamo ricordare.

A proposito: qui sotto trovate il percorso fatto da un altro che s’è spostato millenni fa da Oriente ad Occidente. Il mio.

Zafferano: tra gusto, bellezza e sacralità.

Zafferano: tra gusto, bellezza e sacralità.

Ci piace, ma poi scopri che…

Noi coltiviamo zafferano perché ci piace. Ce ne piace l’aroma e il sapore, un po’ meno il modo con cui ci arriviamo a quel sapore e a quell’aroma; basta chiedere a ginocchia e schiena dopo una giornata di lavoro.

Proprio perché ci piace e perché ci piace continuare una tradizione di famiglia, non abbiamo mai prestato troppa attenzione alla infinita quantità di riferimenti culturali, storici, curativi e perfino religiosi che si sono costruiti nei millenni su questa spezia: è questione di gusto, ma pure di bellezza e sacralità.

Prendete questa storia ad esempio.

zafferano: spezia sacra e curativa

Sull’isola di Santorini c’è un posto che si chiama Akrotiri, una città portuale distrutta con l’eruzione del vulcano (che poi è tutta l’isola) di metà del secondo millennio prima di Cristo.

Il paese è stato ricostruito un po’ più in alto, ma la parte bassa, che era rimasta sepolta dall’eruzione, è stata riportata alla luce alla fine del secolo scorso. Bene, le foto che vedete sono prese dall’edificio Xeste3 (se volete andare a fondo nella cosa, qui c’è un pdf da scaricare, ci vuole un po’, ma vale la pena), molto particolare che doveva essere una specie di luogo tra l’iniziatico ed il medico-curativo, visto che le due cose sono sempre state collegate nella medicina antica. Le pareti affrescate riproducono scene di un’iniziazione in cui delle giovani donne raccolgono zafferano che inseriscono poi una cesta e che viene offerto da scimmie di colore blu ad una dea assisa su un trono (questa sotto è una ricostruzione non troppo ‘distruttiva’).

Le scimmie di colore blu sono un indice di come il Mediterraneo fosse già una grande autostrada che collegava le terre che vi si affacciavano: la scimmia, in Egitto, era un animale sacro e il colore blu è il colore della sacralità negli affreschi egizi: alla stregua dei gatti, era considerato il vero animale domestico e si trovava un po’ dappertutto nell’Egitto Antico, come oggi succede in tante parti del Sud-Est asiatico. Su Santorini, tra l’altro, sono stati rinvenuti teschi di scimmia: le Cicladi erano già il ponte principale tra il mondo occidentale e quello asiatico.

Di scimmie e zafferano ne riparleremo, sempre a riguardo della civiltà minoica.

Lo zafferano, insomma, da millenni, non è mai stato solo un cibo, ma un medicamento e un sistema per entrare in contatto con la divinità: chiamarlo ‘oro rosso’ non è per nulla fuori luogo.

Se aggiungete che le donne che sono affrescate sulle pareti sono considerate da molti “le più belle donne dell’antichità”, il cerchio su nutrimento, iniziazione e sacralità, si chiude.

Sembra zafferano, ma è tradizione.

Sembra zafferano, ma è tradizione.

È tutto zafferano, è anche zafferano.

Non produciamo solo zafferano di grande qualità, lavorato a mano dalla lavorazione della terra fino alla raccolta. Da quando abbiamo cominciato questa lenta avventura, a noi è interessato raccontare una storia, una ‘buona’ storia. È una storia fatta di tempi diversi da quelli che vive la maggior parte di noi. Sono tempi più lenti, meno ‘adrenalinici e per questo con un sapore differente.

Anche la confezione che contiene il nostro zafferano fa parte di questa storia. È di vetro, il piccolo contenitore degli stimmi; ma di legno e ceramica sono i materiali che avvolgono il vetro. 

Realizzare prodotti artigianali come queste scatole non è possibile se dovessimo tenere conto dei costi.

Le scatole sono state prima progettate per far scorrere bene il coperchio e per stabilire l’esatto alloggiamento della ceramica. La ceramica è un materiale inerte, ma ha un suo ciclo di vita fatto di restringimenti ed espansioni a seconda dell’umidità e della temperatura. Se Andrea, oltre alla passione dello zafferano, non lavorasse per professione la ceramica da 35 anni, quella scatola non sarebbe stata possibile. E neanche sarebbe stato possibile personalizzarla, scrivendo a mano nomi e dediche. Stesso discorso per il legno, che per quanto semplice abete andava pitturato (a mano anche questo), per dare quel sapore di un secolo fa.

la storia di questi luoghi

E anche le pagine che leggete sul vostro browser possono esistere perché i miei ritagli di tempo sono finiti a raccontare proprio questa storia. Che non è proprio la nostra storia, ma quella di un territorio che da secoli è rimasto immobile, ancorato a tradizioni che non si sono modificate se non a fatica e con tempi biblici.

La ricca povertà di questa terra sta anche in questa piccola tradizione di zafferano, legno e ceramica e in questa storia che ci piace raccontare per lasciarne una piccola traccia.

Non può essere così vecchia.

Non può essere così vecchia.

A questa storia che da queste parti la coltivazione dello zafferano avesse origini antiche, io non avevo mai creduto. È vero, sapevo già da tempo della storia di mio nonno che aveva portato con sé dall’Abruzzo dei cormi di zafferano e che si era messo a coltivarlo; tuttavia, e mi sembrava più una delle sue tante manifestazioni di estrosità poi reiterata dalla gente di qui. Tuttavia la versione dei pochi ‘antichi’ autoctoni rimasti nel paesello era molto differente: qui, lo zafferano si è sempre coltivato, a memoria di autoctono e di autoctono e di autoctono, anche molto prima del 1920, di nonno e della sua cassa.

E in effetti…

E allora, via alla ricerca; che non ha fatto altro che confermare che, al solito, gli autoctoni hanno sempre ragione. Senza troppo affannarmi, il documento che ho inserito nel post, si trova su Google Libri è tratto dall’Annuario d’Italia per l’esportazione e l’importazione del 1905, una specie di stato dell’arte della produzione italica.
Tra le poche zone di produzione dello zafferano, oltre alla rinomata provincia dell’Aquila, che tuttora è il fulcro della produzione italiana, se ne citano altre quattro: “Lo zafferano si coltiva anche, ma in piccola quantità, nelle prov. di Cagliari, Palermo, Ascoli Piceno e Catanzaro.”

Considerando che la produzione di zafferano non si inventa dall’oggi al domani, dovevano essere già parecchi anni, se non decenni, che lo zafferano cresceva da queste parti. Mentre nelle altre tre zone meridionali d’Italia lo zafferano doveva aver seguito gli arabi alla fine del primo millennio, ad Ascoli Piceno doveva essere arrivato dal nord dell’Abruzzo, facendo quella stessa strada che 100 anni fa aveva fatto, ben riposto, nella cassa di mio nonno.

Ennesima dimostrazione che delle primogeniture possiamo parlare per ore, tanto, prima o poi, arriviamo tutti ad Adamo ed Eva. 😜

Attenti al colchico, non è zafferano.

Attenti al colchico, non è zafferano.

No, non è zafferano; anzi, non chiamatelo neanche zafferano. Si chiama colchico ed è una delle erbe spontanee più velenose che esistano. Il solo contatto con la pelle può creare danni alla cute; figuratevi se vi viene in mente di raccoglierlo e farci un bel risottino. L’alta tossicità è causata dalla colchicina che, anche a concentrazioni molto basse, è velenosa per l’uomo perché sembrerebbe danneggiare il sistema cellulare proprio nella mitosi, cioè nel momento in cui la cellula si riproduce.

Di antidoto, manco a parlarne: se avete usato il colchico in cucina, vi ritrovate in ospedale  e dovete sperare che il vostro organismo si impegni molto. I casi di morte per ingestione, purtroppo non sono rari.

Eppure non è difficile da riconoscere.

Se guardate le foto del post, dubbi non ne potete avere; ma forse io parlo così perché conosco bene entrambe le piante. Ad ogni modo, ciò che non deve neanche farvi avvicinare ad un colchico è il fatto che non vediate gli stimmi rossi che caratterizzano lo zafferano. Inoltre, il viola delle foglie del fiore di zafferano è molto più vivo ed acceso. In genere, il fiore del colchico ha colori molto più slavati, più pastello, rispetto a quelli dello zafferano

E gli animali?

Lo schifano, quasi tutti. Pecore e capre possono incidentalmente mangiarlo ma a loro non arreca danni: il pericolo, però, è per il loro latte che può diventare tossico. Ovviamente, ogni tipo di latte commerciale è privo di questo tipo di tossicità.

Non è sempre dannoso.

Con la colchicina si realizzano preparati farmaceutici in grado di combattere un certo numero di malattie anche gravi, come la gotta; in questo caso, con il colchico, il fai-da-te non è neanche immaginabile. Già solo raccoglierlo vi mette in condizioni di subire bruciature e traumi cutanei che poi rientrano nel giro di alcuni giorni. Tuttavia, molto dipende dalla vostra capacità di reagire a traumi e scottature.

Insomma: prima di raccogliere fiorellini viola, in autunno, ricordatevi che se anche lo zafferano può crescere spontaneamente, nella maggior parte dei casi quello non è zafferano ed è meglio lasciarlo lì dove lo vedete spuntare.